In Toscana, la viticoltura specializzata, quella che possiamo vedere ancora oggi, è iniziata su vasta scala circa mezzo secolo fa, quando sono nate la maggior parte delle aziende vitivinicole presenti attualmente sul mercato.
Appena 3 milioni di ettolitri prodotti , eppure la Toscana rappresenta , insieme al Piemonte la punta di diamante della nostra vitivinicoltura di alta qualità. Addirittura undici vini a Docg, alcuni famosissimi, come Brunello di Montalcino, Chianti e Chianti Classico, Vernaccia di San Gimignano, Morellino di Scansano e Vino Nobile di Montepulciano. Poi una quantità notevole di Doc prestigiose, da Bolgheri a Montecarlo, dal Montecucco al Pomino, dai rosso di Montalcino e Montepulciano al recente Maremma Toscana. Solo per citare i più noti.
C’è però un fenomeno in Toscana che non ha paragoni in quasi nessun’altra regione. Si tratta dei cosidetti Supertuscan, un termine americano che indica una vasta gamma di rossi, nati come vini sperimentali di alta qualità, diversi da quelli della tradizione regionale. La particolarità sta nel fatto che a questi prodotti, spesso davvero eccezionali, per molti anni, e in parte ancora oggi, fu negato l’onore della Doc e furono relegati al ruolo di vini a indicazione geografica. Di fatto i legislatori non riuscirono a coprire con dei disciplinari di produzione proprio quei vini che costituivano l’indubbia punta di diamante qualitativa enologica, e non solo per la Toscana. Vini quali Sassicaia (ormai Doc), il Tignanello Antinori, i Cabreo di Ruffino, solo perché le percentuali e le tipologie delle uve usate non erano perfettamente assonanti con ciò che prevedevano i vari disciplinari, vennero relegati, e in buona parte lo sono ancora, in una sorta di seconda divisione. Il mercato, specialmente quello estero, però ha reagito in ben altro modo e ben presto alcuni Supertuscan spuntarono prezzi e valutazioni ben superiori a quelli ottenuti dai Doc o dai Docg delle stesse zone.